Se la parte alta del territorio di Roccamontepiano ha condizionato nei secoli la vita dei suoi abitanti, offrendo loro l’acqua e la sicurezza difensiva, favorendo la nascita di luoghi di culto, santuari e conventi e offrendo ambienti per insediamenti inespugnabili, la parte bassa ha costituito per la popolazione la fonte principale di risorse economiche. La zona attorno a Terranova, per i pendii meno aspri, per i terreni più fertili e produttivi, da sempre ha favorito quel poco di agricoltura, essenziale per la vita della gente, con tutto il complesso di attività ad essa collegate. Ne sono una prova: il Museo G. Lisio a Terranova, il tratturo, il Museo delle Arti contadine in Pomaro e, in parte, anche lo scomparso Monastero di S. Croce.
1. Museo Giuseppe Lisio di Terranova
Inaugurato il 21 marzo 2009, presso i locali del nuovo edificio costruito là dove dal 1776 al 1927 ha avuto la sua sede il vecchio Palazzo Municipale di Roccamontepiano, il museo rappresenta il coronamento di un progetto proposto e avviato dall’Avv. Giovanni Legnini, allora Sindaco di Roccamontepiano, oggi Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Si tratta di una struttura che si prefigge di far rifiorire l’arte della tessitura, una realtà artigianale locale, ormai dimenticata, attraverso la creazione di un laboratorio permanente che la riproponga nei suoi vari aspetti, dalla produzione delle fibre, alla filatura, alla tessitura, fino alla tintura. E il museo non poteva non essere dedicato che a Giuseppe Lisio (1870-1943), un roccolano verace, costretto ad abbandonare il paese in tenera età, seguendo a Roma il padre Giuliano, in cerca di lavoro, impegnandosi con determinazione ed inventiva fino a diventare Mastro Lisio, il Maestro Tessitore, il Tessitore di ogni colore, come lo definì il suo amico, Gabriele D’Annunzio. Egli ha rivoluzionato l’arte della tessitura, specie quella della seta, nell’attrezzatura, nella lavorazione, nelle immagini e nei colori collegandola alla mirabile arte del Rinascimento. Ma l’arte della tessitura non era sconosciuta a Giuseppe e ai suoi famigliari, anzi era ben nota ad essi come ai Roccolani dell’Ottocento in genere, anche se non ad elevati livelli artistici. Si coltivavano le fibre tessili, come lino e canapa, si allevavano i bachi da seta, il telaio per tessere era quasi in ogni casa colonica. Quella della tessitura era un’arte legata all’agricoltura, ben conosciuta a una zia dello stesso Giuseppe, Maria, che a Roma nel 1853 era tessitrice e gestiva una bottega aperta in Via di Monte Caprino 11, in pieno centro, presso il Campidoglio.
2. Tratturo
Il territorio comunale di Roccamontepiano è stato attraversato fin dall’antichità dal tratturo pedemontano Centurelle-Montesecco, ramo importante del tratturo principale Aquila – Foggia, dalle montagne abruzzesi al Tavoliere delle Puglie. Scendendo dalle montagne aquilane, oltrepassato il fiume Pescara presso Torre dei Passeri, esso costeggiava la riva destra dello stesso fiume, piegando verso l’interno presso Ponte D’Alba. Raggiungeva così il territorio di Roccamontepiano scendendo le coste tra Casalincontrada e Serramonacesca. Superato il fiume Alento, attraverso Terranova e Colle Cerrone raggiungeva S. Eufemia in territorio di Fara F. Petri. Di qui continuava il suo percorso verso Guardiagrele, Orsogna, Cupello fino a Montenero di Bisaccia. Tale tratturo è stato attivo fino alla vigilia della 2a Guerra Mondiale e oggi è osservabile solo in alcuni tratti.
3. Museo delle Arti Contadine di Pomaro
Il Museo ha sede presso l’Agriturismo Hostaria di Pomaro nei locali, acquisiti dal Comune e opportunamente restaurati, dove fin dal 1833 era stato realizzato da Antonio Legnini (n. 1772) un frantoio per la macinazione delle olive rimasto attivo fino poco dopo il 1945. Nel Museo, oltre al trappeto, trovano posto oggetti, utensili e attrezzi agricoli un tempo familiari e di uso comune, oggi purtroppo sconosciuti alla maggior parte delle persone. Non casualmente la sede di tale struttura è Pomaro e la spiegazione è insita nello stessa etimologia del toponimo, considerando che si fa derivare Pomaro dal latino pomarium = luogo ricco di pomi, cioè di prodotti agricoli.
4. Monastero di S. Croce
I monaci benedettini non solo conoscevano l’agricoltura e tutte le attività ad esse collegate, anzi ne erano maestri. Nelle nostre zone agricole fecero sentire e pesare il loro insegnamento, non solo quelli di S. Liberatore di Serramonacesca, ma anche quelli del Monastero di S. Croce di Roccamontepiano di cui, purtroppo, non si conservano tracce evidenti sul territorio, perché i suoi resti furono spazzati via dalla frana del 24 giugno 1765. Della sua esistenza, però, non sussistono dubbi perché sono numerose e dettagliate le fonti documentarie che stanno a testimoniarlo. Il monastero fu edificato in località S. Croce, nella parte più settentrionale dell’attuale Via dell’Edera, nella seconda decade del XIV secolo nell’ambito del processo di espansione a Roccamontepiano dei seguaci di Papa Celestino. Si iniziò con la costruzione della Chiesa di S. Croce, completata nel 1312, e poi, tra il 1314 e il 1317, si edificò anche il monastero, con i tipici orti, per volontà del più fedele seguace di Pietro del Morrone, Roberto da Salle. Tra il 1320 e il 1350 esso si sviluppò tanto per la presenza di Roberto di Salle e per i suoi miracoli che estese i suoi possedimenti nei paesi vicini facendo proliferare anche il numero dei monaci. Poi contrasti col Vescovo Teatino avviarono la crisi dell’Ordine e del monastero, nel quale nel 1618 erano rimasti due soli monaci costretti ad abbandonare l’edificio pericolante per trasferirsi presso la Chiesa della Madonna delle Grazie. La frana del 1765 provvide a completare l’opera. I monaci Celestini, ramo dell’Ordine Benedettino rispettoso di un modello di vita basato sull’assoluto rigore morale, indossavano vesti ruvide e cilicio: una tonaca bianca e un cappuccio nero, per cui furono chiamati anche monaci grigi.